Ricerche sulla possibile relazione tra inquinamento e Covid-19
Su questo tema è stato pubblicato un Documento IAS sul sito della Società Italiana Aerosol, condiviso dall’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale(ISPRA).
La maggior parte degli esperti ritiene che l’inquinamento atmosferico può essere un vettore d’infezione e peggiorare la capacità di risposta dei servizi sanitari e sociali alla diffusione mondiale di una nuova malattia per la quale la popolazione non ha immunità.
Il particolato PM 2,5 ha le dimensioni di 2,5 micron ed è detto fine; quando si parla di polveri sottili invece si intende l’insieme delle sostanze sospese in aria sotto forma di aerosol atmosferico, cioè il particolato PM 2,5 oltre al particolato grossolano PM 10 (diametro 10 micron) e al particolato ultrafine.
Numerosi studi condotti in Germania sono giunti alla conclusione che le polveri sottili sono la causa principale di asma e malattie dell’apparato respiratorio. Le polveri sottili riescono a penetrare fino agli alveoli polmonari e possono causare anche problemi al cuore e al sistema circolatorio.
E’ stata avanzata l’ipotesi che il virus si coaguli sulla superficie delle particelle di particolato fine (PM 2,5) e che venga trasportato da esse più lontano; per questo motivo il virus si diffonde più facilmente per la presenza nell’aria delle polveri sottili, di cui fa parte il particolato fine PM 2,5.
A ciò si aggiunge la trasmissione del contagio da individuo a individuo.
Un gruppo di ricercatori dell’Università di Bologna avanza l’ipotesi (ancora da verificare) che ci sia una stretta relazione tra il superamento dei limiti del PM 10 e il numero dei ricoveri da COVID-19.
In alcune zone dell’Italia Settentrionale fortemente inquinate dalle polveri sottili si è verificato un aumento dei casi di contagio più veloce che in altre zone d’Italia. Oltre al fatto che l’inquinamento atmosferico può aumentare la diffusione del virus bisogna considerare che le persone che abitano in zone altamente inquinate sono soggette a uno stress cronico che potrebbe renderle più indifese in caso di epidemia.
Un gruppo di lavoro, cui hanno partecipato l’Agenzia Regionale Protezione Ambientale-ARPA-Marche e l’Agenzia Nazionale Prevenzione Ambiente e Energia-ARPAE-Emilia Romagna, ha elaborato un documento che valuta la possibilità che esista un rapporto tra inquinamento atmosferico e diffusione del SARS-COV-2. In questo studio si mette l’accento, oltre che sul particolato aerodisperso e i molteplici fattori ambientali che potrebbero aver contribuito alla diffusione dell’epidemia, anche sui progetti futuri per la difesa dell’ambiente, del territorio e della salute.
Se per molti studiosi temperatura elevata, umidità e inquinamento aumentano la morbilità virale delle alte vie respiratorie, esistono tesi che al contrario sostengono che il particolato può essere un inattivatore del virus.
Esiste poi l’ipotesi che il bioaerosol possa contribuire a trasmettere il contagio in ambienti chiusi, soprattutto nelle strutture sanitarie.
In conclusione tutte queste ipotesi vengono proposte dagli studiosi con cautela, ma sono anche uno stimolo a continuare le ricerche in maniera accurata e approfondita.